IL TRIBUNALE Emette la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza relativo alla istanza di affidamento in prova ai servizi sociali e di ammissione al regime della semiliberta' in relazione alla pena di cui a provvedimento di cumulo Procura generale della Repubblica presso la Corte d'apello di Cagliari, Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma n. 101/89 RES (condanna ad anni 30 e mesi 5 di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione, furto aggravato, detenzione e porto abusivo di armi, decorrenza 9 febbraio 1980, fine pena 22 maggio 2004); Nei confronti di Serra Pietro, nato a Nuoro il 30 settembre 1953, residente/detenuto in C.R. Mamone. Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato; Verificata la regolarita' delle comunicazioni e delle notificazioni degli avvisi al rappresentante del p.m. all'interessato ed al difensore; Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, degli accertamenti svolti, della trattazione e della discussione di cui al separato processo verbale; Udite le conclusioni (parere contrario) del rappresentante del p.m., dott. Mossa e del difensore; O s s e r v a Il Serra ha proposto istanza di semiliberta' e di affidamento in prova ai servizi sociali in relazione ad un provvedimento di cumulo che indicava una pena di anni 30 e mesi 5 di reclusione della quale residua da scontare meno di un anno. La pena in espiazione si riferisce interamente ai reati compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis o.p., comma 1, prima parte, poiche' le tre condanne subite per sequestro di persona furono contenute nei limiti di pena indicati dalla norma moderatrice dell'art. 78 c.p. e, pertanto, l'intera pena deve ritenersi riferita ai reati c.d. assolutamente ostativi l'ammissione ai benefici penitenziari. Non risulta infatti, da altre decisioni giudiziarie, che sia intervenuto nei confronti del Serra l'accertamento dello status di collaboratore di giustizia ne' che siano state accertate nei suoi confronti fattispecie alternative alla collaborazione. In particolare questo tribunale di sorveglianza, con ordinanza del 27 gennaio 2000, ha escluso la possibilita' che il Serra si trovasse nelle condizioni richieste per l'applicazione dell'art. 58-ter o.p. Con la medesima ordinanza il tribunale ha accolto il reclamo avverso il diniego del permesso premio poiche' ha ritenuto, sulla scorta dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 137/1999), che il detenuto avesse raggiunto, gia' all'entrata in vigore della normativa restrittiva (giugno 1992), un grado di rieducazione adeguato al beneficio penitenziario minimo, con motivazione, pero', che porta ad escludere che il medesimo grado di rieducazione raggiunto fosse anche adeguato a benefici penitenziari ulteriori. Inoltre non e' possibile effettuare il cosiddetto scioglimento del cumulo delle condanne al fine di considerare espiata la parte di pena riferibile al reato ostativo poiche', per le considerazioni piu' sopra espresse, l'intera pena in esecuzione si riferisce a reati ostativi. L'istanza e' dunque inammissibile non potendo trovare accoglimento neppure l'interpretazione proposta dalla difesa la quale ha, con argomentazioni pregevoli ma non condivisibili, fatto perno sulla funzione rieducativa della pena cosicche' apparirebbe costituzionalmente orientata l'interpretazione dell'art. 4-bis o.p., prima parte, che tenesse conto dei progressi compiuti dal detenuto nell'aderire al programma di trattamento. Ma a ragionare in tal modo si forzerebbe il dato letterale della norma cardine della disciplina di rigore che, introducendo una presunzione relativa di pericolosita' sociale, considera assolutamente ostativa all'ammissione dei benefici penitenziari la commissione, anche in data anteriore all'entrata in vigore della legge, di taluni reati di grave allarme sociale. Infatti per superiore tale ostacolo normativo il legislatore ha individuato, quale unica strada, percorribile, quella della collaborazione (effettiva, impossibile o inesigibile) o quella, indicata dalla giurisprudenza costituzionale, dell'accertamento del grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto al momento della introduzione dei divieti. Nessuna altra via e' percorribile in chiave interpretativa, neppure quella che ha indicato la difesa, che salvaguarderebbe la progressione nel trattamento compiuta dal condannato che ambisce ad ottenere i benefici penitenziari. Infatti la Corte costituzionale ha, a piu' riprese, introdotto correttivi al meccanismo monolitico dell'art. 4-bis o.p., in virtu' del principio, di rilevanza costituzionale, della non regressione nel trattamento penitenziario, ma non ha mai sancito il principio di progressione nel trattamento penitenziario valido per tutti i condannati atteso che, per coloro che si sono macchiati dei reati piu' gravi, il trattamento previsto dall'ordinamento e', per scelta del legislatore, esclusivamente quello intramurario. Le pronunce della Consulta sono state recepite ed inserite, con la legge 23 dicembre 2002 n. 279, nel testo novellato dell'art. 4-bis o.p. che prevede nuove figure di reati assolutamente ostativi (delitti commessi con finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, delitti di riduzione in schiavitu' e tratta e alienazione di schiavi) e che introduce le figure della collaborazione impossibile per integrale accertamento dei fatti e per la limitata partecipazione al delitto. Inoltre l'art. 4, comma 1, della legge citata stabilisce che, per le nuove figure di reati ostativi, la presunzione legale di pericolosita' sociale sia efficace esclusivamente nei confronti di coloro che abbiano commesso tali reati dopo l'entrata in vigore della legge sancendo cosi' l'irretroattivita' della norma sfavorevole. Prendendo spunto dalla previsione espressa di irretroattivita' della norma la difesa del detenuto ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis o.p. nuova formulazione per contrasto con gli artt. 3, 25, comma 2 e 27, comma 3 della Carta costituzionale. In particolare, afferma la difesa, la nuova norma si pone in contrasto con l'art. 3 cost. perche' introduce indebite disparita' di trattamento tra condannati per reati di pari allarme sociale. Infatti sancendo, correttamente secondo la difesa del condannato, l'irretroattivita' delle disposizioni che precludono l'accesso ai benefici per coloro che si siano macchiati di delitti in materia di terrorismo e di schiavitu' crea una irragionevole differenziazione nel trattamento tra coloro che sono stati condannati per i reati prima compresi nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, prima parte (associati di stampo mafioso o per traffico di droga e sequestratori a scopo di estorsione) che sono colpiti dalle preclusioni del 4-bis o.p. indipendentemente dalla data di commissione del reato e coloro che, invece, che hanno commesso i nuovi reati ostativi prima dell'entrata in vigore della norma che vengono esclusi dall'applicazione della normativa di rigore. Inoltre la difesa del Serra ribadisce le considerazioni, gia' da piu' parti formulate, relative alla supposta contrarieta' della normativa restrittiva introdotta nel giugno del 1992 con le disposizioni degli artt. 25, comma 2 e 27, comma 3, Cost., ma sempre respinte dalla Corte costituzionale per manifesta infondatezza della questione. La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal detenuto, limitatamente al profilo riguardante la contrarieta' dell'art. 4-bis o.p. con il principio di uguaglianza contenuto nell'art. 3 Cost., presenta nel caso in esame, secondo questo Collegio, entrambi i profili di rilevanza e di non manifesta infondatezza. Sotto il profilo della rilevanza, infatti, occorre rilevare come il Serra, detenuto sin dal 1980, debba ancora scontare circa 11 mesi di reclusione e, pertanto, sia stata espiata la quota di pena richiesta dall'art. 50 o.p. per l'ammissione alla semiliberta' e la pena residua sia contenuta nei limiti indicati dall'art. 47 o.p. per l'accesso all'affidamento in prova al servizio sociale. Inoltre il detenuto e' stato ammesso al beneficio penitenziario minimo sin dal gennaio del 2000 ed ha convenientemente sfruttato le opportunita' trattamentali che gli sono state sinora offerte. Potrebbe quindi accedere alle misure alternative richieste che sono state inserite nel programma di trattamento redatto dagli esperti della C.C. di Nuoro fin dall'ottobre del 2001. Infine non risultano accertati collegamenti attuali con la criminalita' organizzata o eversiva. Sotto il secondo profilo da esaminare la questione appare non manifestamente infondata. La riforma introdotta con la legge n. 279/2002 ripropone - ampliando la tipologia dei reati ostativi di prima fascia - un trattamento differenziato a carico del condannati per reati di criminalita' organizzata o comunque di elevato allarme sociale. Appare pero' immotivata la differenza di regime che si viene a creare tra gli autori dei reati gia' compresi nel vecchio testo ed i condannati per delitti inseriti nell'art. 4-bis o.p. a seguito della novella. Infatti per i primi la norma e' applicabile anche nell'ipotesi di reati commessi prima della riforma del 1992, mentre per i secondi sussiste lo sbarramento dell'art. 4, comma 1, legge n. 279/2002. Il legislatore nel dettare quest'ultima disposizione, la quale nel caso di specie viene assunta come tertium comparationis, ha ritenuto di prevedere espressamente il principio della irretroattivita' solo rispetto alle nuove fattispecie contemplate dalla prima parte del primo comma dell'art. 4-bis o.p. E' evidente che seppur il legislatore sia libero nell'individuare le categorie dei reati ad elevato allarme sociale ed i corrispondenti regimi di esecuzione delle pene che si riferiscono a tali reati, tuttavia, nell'effettuare tali scelte, non puo' sottrarsi al principio di ragionevolezza che e' sotteso al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. In sostanza il principio di uguaglianza esprime un giudizio di relazione tra piu' situazioni e poiche' ogni disciplina innovando l'ordinamento introduce delle distinzioni, la disamina della conformita' di una norma all'art 3 Cost. non puo' che incentrarsi sulla ragione della distinzione. Il giudizio di uguaglianza diviene, quindi, un giudizio di ragionevolezza vale a dire un apprezzamento di conformita' tra la regola e la ratio ad essa sottesa. Nel caso in esame sembra che il legislatore, reputando la modifica legislativa una sorta di reformatio in peius del trattamento penitenziario dei condannati per i nuovi reati ostativi contemplati dall'art. 4-bis o.p., abbia voluto espressamente escluderne l'applicazione ai fatti commessi in epoca antecedente la sua entrata in vigore. Sembrerebbe, quindi, che la ratio della norma si identifichi, o quanto meno, si ispiri al principio in base al quale il condannato non puo' veder aggravata la punizione prevista dall'ordinamento in base ad una legge emanata successivamente alla sua condotta criminale. Ma se cosi' e', questo principio dovrebbe valere anche per i delitti ostativi gia' contemplati dall'art. 4-bis o.p. ovviamente per quanto attiene ai reati consumati prima dell'entrata in vigore della riforma del 1992. Vero e' che solo una situazione piu' tranquillizzante sotto il profilo dell'ordine pubblico e della lotta alla criminalita' organizzata ha consentito attualmente una opzione diversa rispetto a quella adottata dal legislatore del 1992; il che, pero', non puo' giustificare una disparita' di trattamento: ogni disposizione deve presentare una ragione obbiettiva la quale sia avulsa dai motivi storicamente contingenti che possono aver indotto il legislatore a formulare una specifica opzione. Ci si chiede peraltro se nel dettare la norma in esame il legislatore abbia ritenuto di adottare solo una scelta di politica criminale nel caso concreto o se invece abbia condiviso quell'orientamento secondo cui il principio di irretroattivita' della norma penale incriminatrice gia' disciplinato dall'art. 2 c.p. e quindi assurto a rango costituzionale in virtu' dell'art. 25, comma 2, Cost., vada riferito non solo alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie ma anche a tutte quelle che formano il diritto dell'esecuzione della pena. Qualunque sia la risposta a questo quesito, resta l'irragionevole disparita' di trattamento. Ne' vale rilevare che si tratta di condannato per reati diversi. In primo luogo non vi e' alcun dato obbiettivo su cui fondare una presunta maggiore pericolosita' sociale degli autori dei delitti gia' ricompresi nel c.d. primo gruppo dell'art. 4-bis o.p. rispetto ai detenuti per i reati specificati dall'art. 4 comma 1 della novella (forse che la riduzione in schiavitu' punibile nel massimo con quindici anni di reclusione e' meno grave dell'associazione di tipo mafioso sanzionata - nell'ipotesi di semplice partecipazione - con una pena nel massimo a sei anni?). E comunque anche se si volessero adottare dei «distinguo» sotto il profilo della pericolosita' non avrebbe alcun senso prevedere degli effetti differenti solo in ordine all'epoca dell'entrata in vigore della norma. Infatti, se si prendono le mosse dalle decisioni del Giudice delle leggi in materia di irretroattivita' dell'art. 4-bis o.p., con le quali si e' affermato il principio della aderenza dell'art. 4-bis o.p. al dettato costituzionale perche' introduttivo di un mero criterio interpretativo (la non collaborazione e' indice del persistere della pericolosita' sociale dell'autore di reati gravissimi) e non di una norma penale sfavorevole, non si comprendono le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2002 ad introdurre la clausola di non retroattivita' della norma sfavorevole realizzando cosi' una irragionevole disparita' di trattamento non solo tra autori di reati diversi ma anche tra gli autori dei medesimi fatti di reato, disparita', quest'ultima, fondata sul momento di commissione del reato e non giustificata alla luce delle ricordate decisioni della Corte costituzionale. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte questo Collegio reputa rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, legge 23 dicembre 2002, n. 279, nella parte in cui non prevede che le disposizioni dell'art. 1 della legge citata non si applichino ai detenuti per i reati gia' compresi nel testo previgente dell'art. 4-bis, comma 1, prima parte o.p. e commessi prima dell'entrata in vigore del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (delitti posti in essere avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo nonche' delitti di cui agli artt. 416-bis e 630 c.p., 291-quater del T.U. approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 3 e art. 74, d.P.R. 309/1990). Di conseguenza, conformemente al dettato costituzionale ed alla legge n. 87/1953, questo tribunale ritiene necessario investire della questione la Corte costituzionale cui gli atti devono essere trasmessi previa sospensione del procedimento in corso.